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Spazio, ultima frontiera dei grandi telescopi

di Leopoldo Benacchio

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Nel prossimo decennio avremo ottime probabilità di realizzare uno dei grandi sogni dell'uomo: trovare un altro pianeta adatto a ospitare una qualche forma di vita e potremo "fotografarlo" mentre ruota attorno a qualche stella, fra i miliardi e miliardi che compongono la nostra Galassia. Negli ultimi quindici anni abbiamo intuito la presenza di pianeti al di fuori del nostro Sistema solare in almeno 350 casi. Ma non li abbiamo veramente visti, abbiamo invece dedotto che dovevano esserci esaminando le alterazioni periodiche che ci arrivano da altrettante stelle. Tolte di mezzo tutte le altre possibili cause queste alterazioni pensiamo siano dovute alla presenza di uno o più pianeti che ruotano regolarmente attorno a quelle 350 stelle madri, un po' come vedere in lontananza un lampione stradale attorno a cui vola una farfalla notturna.

Ma certo un conto è pensare che ci siano, anche se con ragionevole scientifica sicurezza, e un conto è vederli veramente e poter studiare se hanno atmosfera e se in questa si notano segni di possibile vita, come vapor d'acqua o, come qualcuno spera, addirittura clorofilla. Le nostre speranze di poter fare questo emozionante balzo in avanti nella conoscenza nel prossimo decennio è legata alla costruzione di una nuova generazione di strumenti di osservazione, che da qualche anno stiamo progettando, come ad esempio E-Elt, lo European Extremely Large Telescope. Sarà un telescopio gigantesco rispetto a quelli esistenti, dato che il suo specchio principale, in realtà un mosaico di specchi più piccoli, avrà un diametro di 42 metri, contro gli 8,5 dei maggiori telescopi esistenti oggi. E lo specchio principale di un telescopio è una caratteristica fondamentale, più grande è più lo strumento ci permette di vedere di più e meglio, dato che riesce a raccogliere la poca luce proveniente dagli oggetti più deboli e lontani. Un po' come un grande secchio raccoglie più acqua di un bicchiere quando piove.

Un grande balzo in avanti dunque, realizzato grazie a un nuovo potentissimo strumento di osservazione, che fra l'altro manterrà l'Europa al vertice della ricerca mondiale.
È capitato spesso nella storia della Scienza che un nuovo strumento abbia permesso di fare non solo "più" scienza ma anche una scienza completamente "diversa" e accedere a un livello superiore di conoscenza. Successe così anche nel caso del cannocchiale di Galileo, uno strumento modestissimo e pieno di difetti secondo i canoni attuali, che permise comunque al grande pisano di poter "vedere" coi suoi propri occhi le montagne della Luna, i satelliti di Giove, gli anelli di Saturno. Certo lo strumento non è tutto e ci volle la mente del Galilei per capire che si trattava di "altri mondi" e anche il suo coraggio e onestà intellettuale nel sostenere questa ipotesi contro tutto e tutti. Il quarto centenario di quegli avvenimenti, che si celebra nel 2009 con l'"Anno mondiale dell'Astronomia", per la cui proclamazione l'Italia ha tanto lavorato negli anni scorsi, celebra anche questo primo gigantesco salto in avanti, realizzato anche grazie a uno strumento che permise appunto di fare una scienza diversa.

Nel corso dei quattro secoli che ci separano da quelle notti padovane nel 1609 in cui Galilei usò per la prima volta il cannocchiale per scrutare il cielo, lo sviluppo strumentale dell'astronomia ha prodotto enormi progressi nella conoscenza dell'Universo. Ma forse oggi non percepiamo come negli ultimi trent'anni ci sia stata un'enorme rivoluzione in questo campo di ricerca, paragonabile senz'altro a quella galileiana.
Le tecnologie spaziali infatti ci hanno permesso, dal 1975, di andare con speciali telescopi in orbita oltre l'atmosfera, permettendoci di raccogliere tutte le radiazioni emesse da stelle e galassie. L'atmosfera terrestre infatti, fortunatamente per noi, blocca la stragrande maggioranza delle radiazioni elettromagnetiche che provengono dai corpi celesti, lasciando passare solo quella che noi chiamiamo luce visibile e varie frequenze radio, studiate da terra con i radiotelescopi. Dal 1975 abbiamo potuto quindi osservare come appare l'Universo nei raggi "X" o "Gamma", emessi dai fenomeni più violenti che accadono nell'Universo, esplosioni di potenza incalcolabile che avvengono in pochi secondi. E poi abbiamo potuto raccogliere la radiazione infrarossa emessa dalle stelle al termine della loro evoluzione, così come quella ultravioletta, emessa invece dalle stelle più calde che si sono appena formate e hanno ancora miliardi di anni davanti a loro per poter brillare in cielo.

Tutte queste informazioni da cui siamo oramai sommersi l'umanità semplicemente non le ha mai avute, e questo spiega perché chi oggi fa il mestiere di astrofisico sia entusiasta per l'opportunità unica che ci è data in questo momento storico. Entusiasmo e anche qualche mal di testa, dato che improvvisamente ci siamo trovati a dover ricostruire l'immagine dell'Universo con un puzzle che ha mille e mille volte più pezzi da mettere insieme di quanto ne avesse 30 anni fa. E questo ancora una volta per un salto tecnologico, quello del volo spaziale, che ci permette di fare non solo più astrofisica, ma anche di farne una completamente diversa. Più dati quindi, molti problemi risolti, un nuovo e più alto livello di conoscenza. Ma anche altre e più complesse domande che ci si pongono davanti: dove è la materia oscura, quella che non emette radiazioni e che quindi non vediamo, ma che sappiamo deve esistere e anche in grande quantità, sei volte maggiore della materia che compone stelle e galassie? E cosa sostiene l'espansione dell'Universo, che dovrebbe invece rallentare dopo l'accelerazione iniziale delle origini, forse una forma di energia "oscura", che non conosciamo? Domande complesse, che la nuova generazione di strumenti ci aiuterà a sciogliere.

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